PRIMA DEL GIORNO  –  by Cecilia Casadei


C’è, in quest’artista, la fascinazione di uno spazio nuovo, di luoghi che non esistono. Mondi incontrati nei viaggi della mente, attraversando oniriche reminescenze.
Franco Donaggio, è l’artista che comincia a lavorare quando il giorno è ancora lontano, quando tutti dormono. Ed è il mio inconscio a essere illuminato, racconta. È allora che sento più vicina la vita, che mi riapproprio della mia spiritualità. Le immagini prendono forma, cambiano via via, come lo spettacolo che appare a chi attraversa il tempo, a chi vola su una mongolfiera. Un’architettura che sa di cattedrale, nella prima grande opera, un dittico, che rimanda all’iconografia lillipuziana. Piccolissimi uomini – ma è sempre Donaggio che ritrae se stesso – si muovono su un ponte precario, ancorato alla struttura con alcuni cavi. Figura umana che sale sulle funi, che corre, sosta. Che muore? Che si getta nel vuoto e si guarda cadere. Minuscoli esseri viventi, che agiscono come solo nel sogno è dato di fare, che lottano e si muovono in uno spazio kafkiano, abitato dal sentire profondo della finitudine umana.
Dalla consapevolezza che l’uomo non può riempire lo spazio e si eleva sopra le cose solo attraverso il pensiero. Due foto più piccole. Nella prima, uno spazio interno, un’immagine speculare: il particolare di una famosa chiesa, vetrate che lasciano entrare nuvole bianche. Una sospensione nel cielo, la terra sembra lontana: ad abitare quello spazio, tre piccolissimi uomini, e uno è ancora l’artista. L’uomo non è che una canna, ma è una canna che pensa. Poi nuvole, ancora nuvole, elemento che ricorre spesso nell’opera di Donaggio, come principio di tutte le cose e fors’anche emblema d’incertezza, effimero che nasce. E poi scompare. C’è una piattaforma, con un grande punto interrogativo reclinato, in realtà una piccola scultura in marmo, una domanda sulle ragioni dell’esistenza. E gli uomini, ancor a piccolissimi. Poi, una fotografia che inquieta: una piazza marmorea, qualcosa che sembra un mausoleo, al centro la testa di una scultura, le labbra a toccare la terra, come un Cristo caduto sotto la croce. Piccole figure umane si muovono intorno al mistero. Il cielo è nero, le nuvole chiare in un’altra opera di quest’artista, un grande spazio, dove un solo, piccolo uomo dai capelli bianchi guarda verso l’alto , in una vibrante, irreale atmosfera. Una nuova piazza, crocevia di tragitti , una grande apertura al centro, fauci della terra, baule di pensieri che i viandanti la sciano riposare. Sono fotografie fatte per durare nel tempo, stampate a pigmenti su carta cotone. Fotografie dal sapore intimistico, espressione tangibile del prodotto della mente. Verso il destino, si potrebbe intitolare un’altra opera della mostra: due vicinissime pareti, alte, grandi, irraggiungibili torri di marmo, che si aprono. Come le acque del Mar Rosso nella fuga dall’Egitto, per lasciar passar e un uomo. Piccolo.