FRANCO DONAGGIO E LA SUA FOTOGRAFIA   –  by Tobia Donà

l’utopia è quasi sempre un errore ma raramente una menzogna
Raymond Ruyer

L’utopia è il rilancio del gioco delle possibilità, è la forza che permette agli uomini di realizzare cose grandi e apparentemente impossibili. La parola utopia, coniata nel 1516 da Thomas More, era in principio strettamente legata all’idea di società, significava il pieno sviluppo delle capacità ed esigenze materiali e spirituali.Persone con dinanzi grandi sfide. Le vediamo intente nel percorrere enormi estensioni vuote. Piccole figure senza volto, simili una all’altra, come se li guardassimo dal ventunesimo piano di un grattacielo. Non cercano aggregazione ma luoghi di esplorazione, solitudine. Grandi buchi neri, distano pochi passi da loro. Metafora dell’universo che ci contiene. E la sensazione è di movimento ma in precario e incontrollabile equilibrio.  Sono le suggestioni di Franco Donaggio, uno dei pochi artisti italiani per i quali il detto Nemo propheta in patria sembra non valere. Anche se è negli Stati Uniti dove, dal 1979 a oggi, Donaggio ha esposto maggiormente – partecipando tra l’altro ad importanti eventi quali: Art Miami, il Photo LA di Los Angeles, l’AIPAD Show a New York e all’Art Fair di Chicago – in Italia il suo lavoro non è mai stato sottovalutato. Merita di essere ricordato il Kodak Gold Award, premio per il ritratto italiano che Franco Donaggio riceve 1996 e la sua partecipazione alla 54° Biennale di Venezia, al Padiglione Italia, presso il Palazzo delle Esposizioni di Torino. Solo nell’ultimo mese le sue fotografie sono state celebrate in tre diverse esposizioni: al MAG di Como, con la mostra SurREALE, alla galleria Sabrina Raffaghello di Milano con N.I.P. New Ideal Photography, ed infine sempre a Milano con L’ALCHIMISTA, Franco Donaggio up today, presso lo Spazio Tadini, dove erano esposte trentasei immagini di grandissime dimensioni. Italo Zannier, una delle personalità più eminenti della fotografia italiana, certamente la più competente, della sua opera scrive: Un universo filtrato, quasi strigliato, ripulito fino a raggiungere la purezza del segno significativo, mediante una sintesi degli elementi, che debbono risultare essenziali, per esprimere simultaneamente un suggestivo concetto di realtà, qui di realtà onirica, a volte persino angosciosa, come nell’incubo di un sogno notturno ritrovato all’alba, in Fotografia. Queste parole sono il frammento di un testo appassionato e hanno il dono della sintesi, riescono, da sole, a rendere ugualmente grandi, chi le ha scritte e chi le ha ispirate. Non sembrano, infatti, avere certezze, i piccoli esseri solitari che vivono nell’universo creato da Donaggio. Anche se il loro posto non è chiaro, o definitivo e attorno, tutto potrebbe mutare, logorarsi e precipitare improvvisamente, ebbene tutto sembra dipendere da loro. Essi sono l’unità di misura, il punto di riferimento al quale ogni cosa è dipendente. Nell’efficacia delle loro azioni sta la sorte del tutto. Un incubo, come scrive Zannier, capace di tramutarsi in sogno, attraverso la Fotografia scritta, non a caso, con la lettera maiuscola, riferendosi a quella Storia della Fotografia alla quale egli ha dedicato un’intera vita di studi e che per primo ha introdotto in Italia a livello universitario. Fotografie quelle di Donaggio, che rivendicano la loro identità, il loro valore artistico – chi non capisce il perché mi domanda il come, esclama Donaggio – come la Fotografia ha rivendicato sin dalla sua prima apparizione nel 1826 in Francia, tra sostenitori e detrattori, e che ancora cento anni dopo, il 7 gennaio 1939 alla Sorbona, disquisivano se questo disegno creato automaticamente dalla luce, si potesse considerare o no opera d’arte. E’ proprio alle origini della Fotografia che rimandano le immagini di Franco Donaggio, attraverso il rapporto con lo spazio, che è il luogo degli uomini, come l’architettura e la città. E’, infatti, un rapporto molto stretto quello che lega la fotografia con lo spazio urbano. Il suo affermarsi coincide con la grande rivoluzione urbanistica che investe Parigi per opera di Georges Eugène Haussmann, meglio conosciuto come Barone Haussmann. Si trattava di affermare la vittoria dell’ordine prospettico, che prevarica sullo sviluppo spontaneo e caotico della città, ri-presentata in modo definitivo, non latente ma permanente, come la rappresentazione della realtà affidata definitivamente alla meccanica, alla tecnica chimica e ottica del processo fotografico, e finalmente indipendente dall’abilità e dall’estro creativo dell’artista disegnatore. Un’epoca nella quale la Fotografia è un sogno che si realizza, una conquista inimmaginabile e stupefacente. Le opere di Donaggio incarnano il sogno, l’utopia, la volontà di vivere il nuovo e l’inconsueto. Sono capaci di sorprendere l’inconscio e instillare interrogativi sovvertendo l’ordine delle cose. Sono il perpetrare di un’ideale che attraversa la storia della nostra creatività, sfiorando l’universo meccanico di Giovanni Battista Piranesi, regolato da leggi matematiche – del quale la Yourcenar scrisse: La negazione del tempo, lo sfalsamento dello spazio, la levitazione suggerita, l’ebbrezza dell’impossibile raggiunto o superato – attraversando il futurismo dell’alienazione di Antonio Sant’Elia, immagini di città rimaste sulla carta ma tanto potenti da cambiare il corso della storia, sino a giungere alle forme labirintiche e agli inganni visivi che Franco rende verosimili, insinuando il dubbio nella realtà. Intuizioni visionarie, utopie, il fuoco che alimenta il genio umano. Non era forse utopia credere che fosse possibile fissare per sempre la luce su un pezzo di carta?